Storytelling: Comicom intervista Stefano Ascari

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Qualche domanda sullo storytelling a Stefano Ascari, art director dell’agenzia di comunicazione Intersezione (che ha progettato questo blog), sceneggiatore di fumetti (come Shutter Island, Edizioni BD) e grande appassionato di storie…

Possiamo dire che con i graffiti rupestri lo storytelling è nato per immagini ben prima della narrazione attraverso le parole?

Non se effettivamente la dinamica narrativa sia nata con i graffiti, immagino che l’esigenza di abbellire un racconto o di identificare un luogo ben preciso con dettagli descrittivi sia stata una delle prime a presentarsi per gli animali sociali in generale (penso alla danza delle api per identificare i luoghi). Sicuramente, nel momento in cui si è avvertito il bisogno di condividere in modo strutturato un racconto, il segno ha svolto un ruolo fondamentale: una prima alternativa (o integrazione) del racconto orale, una sintesi per certi versi, della realtà. Ma anche la possibilità di un racconto differito nel tempo, che è una delle prerogative delle rappresentazioni grafiche (e della scrittura).

Il bisogno del raccontare e dell’ascoltare racconti: come le immagini si differenziano rispetto alle parole nella risposta a questo bisogno?

Le immagini, quando funzionano, permettono una maggiore interattività in termini di rapporto narrativo. La voce narrante può aprire degli spazi ma in qualche modo conduce sempre l’ascoltatore in una direzione, lo incalza con l’esposizione e con la successione delle parole. Il racconto orale in qualche modo impone dei tempi alla fantasia dell’ascoltatore. L’immagine invece innesca il processo creativo e la comunicazione senza dettare tempi particolari: ci si può fermare davanti a una tavola illustrata per ore, così come si può scorrere un fumetto in modo molto veloce. Ognuno trova nel racconto per immagini il proprio tempo: il ritmo della narrazione (imposto dalla sequenza delle pagine o dalla scansione della tavola in vignette per un fumetto) si adegua così a questo tempo tutto interiore di creazione e di interpretazione.

Il fumetto unisce parole e immagini: in sequenza, richiede il completamento immaginario da parte del lettore di quello che avviene “nello spazio bianco”, tra vignetta e vignetta. Possiamo dire che ha le potenzialità per estrapolare “il meglio” dello storytelling da immagini e parole?

In potenza sì. Si tratta di qualcosa di completamente diverso rispetto all’illustrazione perché si appoggia a piene mani sulla tendenza della mente umana a interpolare tra diversi ‘stati’ o momenti della narrazione. In questo senso si tratta di una lettura più dinamica e coinvolgente rispetto ad altre forme: richiede meno astrazione rispetto alla parola scritta e impone un ritmo progressivo che l’illustrazione non ha. Tutto questo permettendo comunque una comunicazione a livello testuale (attraverso balloon e didascalie) e la fruizione di elementi grafici (il disegno). Quindi non è necessariamente meglio, ma sicuramente integra in modo più immediato alcune tipologie di comunicazione molto diffuse.

Lo storytelling complica o semplifica il messaggio?

Lo storytelling accompagna il messaggio. Anche se apparentemente servono più elementi per raccontare in modo contestualizzato un dato piuttosto che per comunicarlo in modo strettamente analitico, gli elementi accessori di questa narrazione di solito fanno sì che l’informazione giunga meglio e si ‘fermi’ di più nella nostra memoria. Lo stratagemma di inventarsi frasi o storielle per ricordare formule o sequenze di numeri è piuttosto esemplificativo: la storia che racchiude il dato è molto più lunga del dato stesso ma permette di ricordarlo meglio. Quindi è una complicazione che in qualche modo semplifica la ricezione del messaggio.

Come, secondo te, lo storytelling (e per la precisione lo storytelling a fumetti) può intersecare l’universo dell’edutainment? Con quali punti di forza?

Beh, l’edutainment ha come obiettivo di educare divertendo… Lo storytelling credo sia parte integrante della narrazione di qualsiasi tipo di gioco (e quindi di intrattenimento). Dai giochi di carte, al nascondino, ai giochi di società… la narrazione è una parte integrante del nostro giocare. Per questo chiamiamo “lupo” il bambino che ci insegue in cortile per acchiapparci… non so se è un’affermazione troppo pesante ma non credo che esista gioco senza narrazione. E non credo che esista una narrazione priva di un contenuto esperienziale o formativo (le favole per l’infanzia, ad esempio). Per questo credo che l’edutainment sia in qualche modo “figlio” dello storytelling. Semmai il problema è quello di selezionare i contenuti effettivamente formativi (perchè il confine tra edutainment e marketing e molto sottile) e le modalità narrative più adeguate (perchè comunicare giocando prevede una conoscenza molto precisa del target e delle modalità di interazione caratteristiche di un determinato gruppo).

 

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