Da pochi giorni è in distribuzione il nuovo numero di Civico 103, magazine della Galleria Civica, e come da copione, da un po’ di tempo a questa parte, si conclude con GASP!, la doppia vignetta a cura di Stefano Ascari e Comicom. L’illustratore e fumettista di questa edizione, dedicata alla mostra appena inaugurata “Nam June Paik in Italia“, è Armin Barducci: che qui intervistiamo!
Ciao, Armin, perché disegni? Perché racconti?
Disegno per una decisione presa nel 1990, quella di diventare una figura mitologica: il fumettista. Per il resto io disegno sempre e comunque. Mi serve per dare retta al mondo reale, sennò non lo capisco. Racconto storie perché se non disegno e non scrivo, osservo e cerco di immagazzinare più informazioni possibili.
Il disegno ti basta? Quali mezzi espressivi hai esplorato oltre all’illustrazione e al fumetto?
Dato che la figura del fumettista è mitologica, sia nel sogno di ragazzino che nello scontro con la professione da adulto, mi sono dato alla contaminazione del mezzo. Di per sé il fumetto è un miscuglio di tante discipline diverse. Quello che sto facendo negli ultimi anni è portare il fumetto al di fuori delle pagine di un libro, fuori dalle vignette. Ho tre spettacoli di storytelling con una parte visuale curata da me, dove la mia amica attrice Chiara Visca racconta delle storie ed io le disegno attorno interagendo con lei. Poi faccio murales, accompagnamenti visuali a musica, poster, ecc ecc… non sto ad elencare le cose, sono tante e mi do fastidio da solo quando le elenco tutte. Sembro sempre quello che sminuisce il lavoro degli altri (soprattutto in questo periodo di crisi del lavoro) e poi do l’idea che sia imballato di soldi, il che non è affatto vero. Faccio tutto questo perché solo di fumetto non si viveva già prima, ora men che meno. Però alla fine è più divertente e stimolante lavorare nella contaminazione. Almeno non rischi di fossilizzarti e di non riuscire più a scindere passione da professione.
Hai lavorato in diversi ambiti e in diversi contesti… qual è stato il più semplice da approcciare e quale il più difficile?
Con il fatto che dovevo andare in scena, espormi al pubblico, parlare, interagire con qualcuno che non sia solo attraverso il disegno, ecco, questo sì che mi ha messo in serie difficoltà. Se uno s’immagina che il fumettista sia un tizio pallido e gobbo che si spezza la schiena sul tavolo da disegno, non si allontana tanto dalla realtà. All’inizio sul palco volevo morire. Mi vergognavo, non avevo il controllo del mio corpo e della mia voce. Inoltre il fatto di disegnare dal vivo, all’impronta, senza molta preparazione, in grandezze ogni volta diverse, in luoghi diversi e perlopiù a ritmo non è stato difficile. Il difficile è stata accettare la qualità del disegno. In scena è scarso, ma unicamente funzionale alla storia raccontata. Quando lavoro al tavolo di disegno sono di una pignoleria pazzesca. Una volta affrontato e superate queste due paure, il resto è stato tutto in discesa. Adesso lo è.
Parte della tua attività è rivolta alla didattica o comunque alla formazione all’immagine… puoi parlarcene?
Bell’argomento, non ne avevo ancora ufficialmente parlato. Ormai sono dieci anni che insegno fumetto (e derivati) a tutte le età. Non ho affatto idea di quanti alunni io possa aver avuto, ma superano i 1.400. In dieci anni ho sperimentato parecchi tipologie d’insegnamento e mi sono divertito a provarle e a testarle. Solo una mi manca, quella hardcore, quella severa, quella che se non stai sul pezzo te ne vai. Chissà… forse un giorno verrà il momento.
Sulla didattica invece, per me è quasi un ossessione l’osservazione della vita e l’analisi delle immagini che accompagnano la nostra quotidianità. Chiedersi sempre il perché delle cose che vedi in giro. Non deprimersi per il fatto che nel proprio circondario non ci sia un’educazione all’immagine. Nella mia città non c’è, ma siamo in 5-6 che tentiamo di abbellirla con manifesti e poster. Infine sto scrivendo un piccolo manuale dal titolo: “Piccola guida erotica dei colori”, dove spiegherò le varie fasi e il perché dell’impatto visivo di illustrazioni (abbastanza POP) erotiche che avviene nei primi tre secondi nel nostro cervello.
Qual è il progetto al quale sei più affezionato?
Ce ne sono ben tre. Il primo è “Monipodio!” realizzato assieme a Hannes Pasqualini, Matteo Cuccato, Marco Polenta e Mara Mauro, nato nel 2003 e defunto (esaurito) nel 2008. Il secondo è “Misantromorfina“, una lunga storia sulla vita di quartiere di ragazzi nullafacenti, purtroppo non ha mai visto la luce. Infine c’è l’ultimissimo progetto che è l’Etichetta Underkraut. Non ho mai davvero abbandonato l’autoproduzione. Con l’Etichetta Underkraut ritorno a essere libero dai vincoli editoriali e cercherò di chiamare in raccolta le persone con le quali mi voglio circondare per davvero. È un progetto nascente, indipendente e sarà molto attivo. Non soltanto nel mondo cartaceo, ma anche sotto forma di App, di webzine, di live perfomance e di musica.
Vuoi parlarci del progetto in corso in Kosovo e Bosnia di giornalismo grafico?
Il diario di viaggio disegnato è una nuova-vecchia storia per me. Ho iniziato a farlo nel 2000. Ho disegnato in forma di fumetto parecchi viaggi. Poi non ho più viaggiato fino a circa tre anni fa dove, per lavoro, sono andato in Danimarca. Dopo parecchi giri mentali, che non sto a raccontare perché sennò si fa notte, gli ultimi viaggi mi hanno portato nei Balcani. In primis in Kosovo dove ci sono andato come osservatore ad incontrare le aggregazioni giovanili che cercano di ricostruire ciò che è stato distrutto dalla guerra e dare una speranza ai giovani. Viaggio molto interessante, avventuroso, divertente. Esiste una pubblicazione gratuita del diario disegnato del viaggio nel Kosovo (colorato da Nicola Righi).
Il viaggio in Bosnia, devo ammetterlo, è stato molto più devastante, soprattutto a livello emotivo. Non riuscivo a disegnare, mi ero bloccato, quindi ho scritto una marea di pagine di appunti che, una volta ritornati in patria, ho trasformato in immagini. Sono immagini terribili. Non so ancora quando, ma dovrebbe uscire quest’anno la pubblicazione (è praticamente finita, ora stanno cercando i finanziamenti).
Or ora sto dietro all’inchiostrazione del diario di viaggio nel Galles fatto l’estate scorsa (che invece sarà molto comico).
Per il 2013, se tutto va bene, andrò nuovamente in Bosnia in due momenti diversi: uno per delle analisi di disegni di bambini con il post trauma bellico a Tuzla e l’altra a Srebrenica per fare dei primi tentativi di convivenza tra le prime generazioni dopo la guerra tramite lo stroytelling, il teatro e il fumetto. Inoltre farò un reportage giornalistico disegnato sul genocidio di Srebrenica.
Ci sono altri due viaggi in lizza, uno nuovamente in Kosovo ed un altro in Macedonia.
Progetti futuri?
Stare dietro all’Etichetta Underkraut, al festival di musica & fumetto ArtMaySound e ad altre millemila cose.