Breve storia del fumetto – Origini del fumetto in Italia 9° parte
I fumetti fanno la loro comparsa in Italia nel 1908 con la creazione del Corriere dei Piccoli, noto anche come Corrierino, supplemento illustrato del Corriere della Sera.
Come per il caso francese, il balloon è escluso, la consuetudine è quella di accompagnare ogni immagine con una didascalia, ciò deriva dai settimanali illustrati di grande formato che dominano il mercato dalla seconda metà dell’ottocento agli anni Trenta, seppur in quantità inferiore a quella degli altri paesi europei.
E questo vale sia per le produzioni italiane che per i fumetti d’importazione che vengono adattati alla forma del racconto illustrato, con l’evidente perdita della complessità grafica. La novità suggerita dal disegnatore Antonio Rubino è di introdurre versi in rima baciata al posto delle descrizioni in prosa sotto le vignette.
Da Quadratino a Viperetta, Rubino, dotato di capacità grafiche e grande inventività, costruisce un intero universo immaginario a cui si rifanno tutti gli altri autori. (1)
Al Corrierino lavorano in questi anni i migliori autori italiani, Sergio Tofano ad esempio, dal suo segno grafico stilizzato ed elementare nascono le storie de Il signor Bonaventura.
Poi Manca, Bisi, Angoletta. Ma, nonostante ciò, il formato della storia illustrata con didascalie limita lo sviluppo del fumetto in Italia, relegandolo ad una fruizione prettamente infantile.
Così mentre in Francia la consuetudine di ripubblicare i fumetti in forma di libro fa maturare un certo tipo di visione del fumetto come genere per tutte le età, in Italia si radica questo pregiudizio di fumetto come genere per ragazzi, che per certi versi permane ancora oggi, e che spiega la sostanziale differenza tra il mercato editoriale francese e quello italiano ad oggi.
All’inizio degli anni Trenta, i luoghi di produzione e pubblicazione dei fumetti non sono né i quotidiani né i comic book, ma i settimanali.
Il balloon compare in Italia sulle pagine di Topolino, pubblicato dalla casa editrice Nerbini di Firenze e si afferma definitivamente nel 1934 sulle pagine de L’Avventuroso, sempre della Nerbini.
La novità portata dall’editore Nerbini, oltre a rivoluzionare con questo settimanale il mercato italiano, aprendolo all’invasione dalla produzione americana, è la pubblicazione successiva delle storie in grandi albi di formato più largo che alto, detto all’italiana, che svolgono una funzione simile a quella del comic book negli Stati Uniti e fissano un modello che avrà larga fortuna nel dopoguerra.
Altri editori sono attivi nel campo del fumetto, come Mondadori che acquisisce i diritti Disney, Lotario Vecchi a Milano che lancia il settimanale L’Audace nel 1933, o Fratelli Del Duca a Modena.
Quattro anni dopo, è il 1938, il regime fascista vieta l’importazione di qualsiasi fumetto statunitense ad eccezione di Topolino. Ormai c’è spazio solo per gli eroi nostrani, alcuni dei quali molto vicini all’ideologia fascista. A sostituire gli eroi americani sulle pagine de L’Avventuroso compaiono ad esempio le storie di Jutso, che esaltavano l’invasione nipponica della Cina, oppure quelle di Romolo, ingegnere italiano in Abissinia.
Oppure possiamo citare Romano il legionario realizzato da Kurt Caesar sul Il Vittorioso, settimanale cattolico apparso nel 1937, diretto da Luigi Gedda.
L’impianto ideologico de Il Vittorioso è apertamente antidemocratico e si impegna nella propaganda del regime. Persino le prime produzioni del giovane Benito Jacovitti, il più originale autore del settimanale, un caso a parte comunque, fuori da collocazioni cronologiche, trattano temi ideologicamente segnati. Il fumetto non poteva sfuggire alla logica propagandistica del regime che mirava ad uniformare al credo fascista ogni aspetto della vita nazionale, quindi anche quello culturale ed educativo, ed i personaggi che entravano nelle case degli italiani, come Il Signor Bonaventura con il Corriere dei Piccoli, erano un modello di riferimento per i bambini.
Nel dopoguerra sarebbe sorta una polemica legata proprio a questo utilizzo del fumetto come strumento di propaganda: da un lato i dirigenti del partito comunista ad indicarlo come diseducativo, dall’altro intellettuali come Rodari o Vittorini ad elogiarne le peculiarità.(2)
Tra le tante tavole di sapore propagandistico le uniche che segnarono davvero l’immaginario dei lettori furono quelle di Dick Fulmine, di Baggioli e Cossio, un poliziotto italo-americano, straordinariamente somigliante al pugile Primo Carnera, in lotta contro pericolosi criminali, che durante gli anni della guerra indossò i panni del soldato invincibile. In questa situazione difficile che porta in pochi anni all’allineamento ideologico, nasce quindi una produzione italiana originale, e vede formarsi la prima scuola italiana di autori. La guerra, in cui l’Italia sarà impegnata dal 1940 al 1945, segnerà il destino finale di quasi tutte le pubblicazioni a fumetti. Si salveranno solo Il Corriere dei piccoli, Il Vittorioso, e Topolino di Mondadori.
(di Marco De Giorgio)
(1) Daniele Barbieri, Breve storia della letteratura a fumetti, op. cit. p. 98
(2) Dario Campione, “Fascismo, fumetto e propaganda”, in Claude Moliterni, Philippe Mellot, Michel Denni, Il fumetto cent’anni d’avventura, op. cit. pp. 148-149