Breve storia del fumetto – Il fumetto in Italia dal dopoguerra agli anni Sessanta 10° parte
Nei primi anni del dopoguerra il fumetto rinasce, cambiano i temi, i formati, il consumo.
Per far fronte alla difficile situazione economica, gli editori ridimensionano l’albo orizzontale a striscia unica, stampato su carta di bassa qualità e in bianco e nero. Gli eroi del fumetto statunitense lasciano posto a produzioni italiane, in quanto il costo dei diritti di traduzione è proibitivo.
Le nuove riviste del tipo anteguerra hanno vita breve, ad esempio il mensile di un gruppo di giovani ventenni fra i quali Dino Battaglia e Hugo Pratt, L’Asso di Picche, esce a Venezia e chiude dopo pochi numeri nel 1947.
Le novità principali e più originali sono, come si diceva, quelle rappresentate dagli albi modesti che presentano personaggi nuovi rispondenti a nuovi bisogni.
Si tratta di soggetti che, pur ispirandosi al genere avventuroso realistico del fumetto statunitense degli anni Trenta, risentono del clima di libertà del dopoguerra.
È con questo formato che esordisce la piccola casa editrice di Gianluigi Bonelli, già autore di romanzi popolari, ora sceneggiatore di fumetti. Tra le tante testate lanciate la più fortunata e longeva è Tex, disegnata da Aurelio Galleppini, in arte Galep, apparsa nel 1948. In un primo tempo fuorilegge buono, poi ranger giustiziere del lontano west, Tex, passando tra le mani di vari sceneggiatori, ottiene un successo di vendite duraturo grazie a una originale riedizione all’italiana del genere superomistico in combinazione con la mitologia western. Dal successo di Tex, Bonelli crea quella che forse è ancora oggi l’unica grande casa editrice italiana nel campo dei fumetti.
Negli anni Cinquanta l’aria di rinnovamento che potrebbe arrivare da alcuni giovani autori viene soffocata. Come avviene in America con il Comics Code, gli editori italiani si danno un rigido codice di regolamentazione. È curioso notare nelle ristampe di quegli anni dei primi episodi di Tex i vari ritocchi a gonne e scollature. In questo spirito di censura giovani autori come Pratt e Battaglia non trovano spazio e cominciano a lavorare per il mercato argentino.
L’autore italiano più noto e più presente è Benito Jacovitti, che riduce la sua collaborazione a Il Vittorioso per creare su Il Giorno dei Ragazzi, supplemento del giovedì al quotidiano Il Giorno, Cocco Bill. La sua qualità grafica, “le sue caricature estreme e stilizzate, la sua capacità di creare trame complesse”(1) sono qualcosa di veramente diverso da tutto quello mai visto sino ad ora.
Gli anni Cinquanta vedono una miriade di pubblicazioni, quasi tutte in forma di albi, con personaggi e titoli di vario genere, ma di modesta qualità.
In una situazione stagnante dal punto di vista creativo, appare nelle edicole, nel 1962, un piccolo albo dal formato inconsueto, due vignette per pagina da leggere in verticale: si tratta di Diabolik, disegnato da Marchesi su sceneggiatura delle sorelle Giussani. “Il fumetto popolare italiano, carico di immaginazione, si apre a generi nuovi e più adulti, e in particolare alla violenza e all’erotismo.”(2)
Il titolo cambia in pochi mesi il panorama del fumetto italiano, ma è una svolta di costume prima ancora che culturale. La formula di Diabolik è assolutamente originale in quanto è un giallo in cui l’eroe è il cattivo, un ladro che ha come unico scopo nella vita il furto di denaro e gioielli là dove le ricchezze vengono accumulate, al suo fianco Eva Kant, modello di una donna libera. Sulla scia di Diabolik, nascono a decine fumetti di genere noir ed erotico, ne sopravvivono pochi, in particolare Kriminal e Satanik, disegnate da Magnus (Roberto Raviola), su testi di Max Bunker (Luciano Secchi).
Ma quello che è rilevante è che si è aperto un nuovo mercato, fatto di adolescenti, giovani e adulti. La svolta per il fumetto negli anni Sessanta andrà su un doppio binario, al fianco della produzione tradizionale del fumetto di massa, maturerà una cultura del fumetto qualitativamente e artisticamente superiore, per un pubblico adulto e colto.
(Di Marco De Giorgio)
(1) Daniele Barbieri, Breve storia della letteratura a fumetti, op. cit. p. 101
(2) Claude Moliterni, Philippe Mellot, Michel Denni, Il fumetto cent’anni d’avventura, op. cit. pp. 80-81